La paura di ciò che è diverso è quell'insieme di emozioni negative che si innescano quando ci si trova di fronte a persone con caratteristiche diverse dalle proprie. Alcuni esempi sono il colore della pelle, il credo religioso, l'orientamento politico, ecc.
La paura per il diverso è chiamata:
oppure
Nonostante la tendenza generale sia quella di credere che il disprezzo per il diverso sia dovuto solo alla cattiveria ed alla poca umanità, questa è una tendenza profondamente radicata nella mente umana e nel modo in cui funziona.
La paura per ciò che è diverso o sconosciuto è infatti un meccanismo psicologico di difesa che attinge alle categorie mentali e ai pregiudizi di ciascuno di noi.
Quando infatti ci troviamo di fronte ad un individuo diverso da sé, nel cervello umano si attivano alcuni meccanismi psicologici simili a quelli che si verificano a livello biologico quando il corpo rileva un agente estraneo ritenuto dannoso.
A livello psicologico, quando ci relazioniamo con un altro, si possono verificare due reazioni:
oppure
Quando l'altro ci risulta simile può avvenire un processo chiamato mimesi, ovvero un processo mediante il quale tendiamo ad imitare l'altro ed assumerne gli atteggiamenti fino ad imitarne anche la postura, l'accento e le movenze.
Quando invece l'altro ci risulta diverso può verificarsi un rifiuto più o meno profondo. Questa reazione può innescare comportamenti di isolamento ed esclusione dell'altro.
Pur trattandosi di due reazioni opposte, la conseguenza è la stessa: l'irrigidimento di entrambi, che quindi non si sentono più liberi di esprimere sé stessi così come sono, e quindi viene preclusa la possibilità di trarre cambiamenti positivi dall'incontro con l'altro.
Per approfondire: Perché abbiamo paura del “diverso”?
Martin Buber, un filosofo e teologo vissuto a cavallo tra il 19° e il 20° secolo scrive nel suo libro L'io e il tu che le relazioni umane si dividono in due modalità:
Nelle relazioni io-esso è una modalità «oggettificante», attraverso la quale l'uomo si relaziona con l'altro come se fosse un mezzo per arrivare ad un fine. Questa è la modalità della manipolazione e della lotta per il potere. Si tratta, in realtà, di una non-relazione, perché l'io non ascolta e non accoglie nessun tu.
Un esempio di relazione io-esso può essere un dialogo in cui io voglio solo dire, senza mai ascoltare, o ascoltando solo per studiare meglio la mia risposta. Si tratta quindi di un dialogo in cui non aspetto altro che arrivi il mio turno per parlare per poter impressionare l'altro o per poter vincere un dibattito.
Questo tipo di relazione si svolge dando particolare attenzione al tempo passato e futuro, ma non al presente. Quando mi trovo di fronte ad un esso, infatti, subito penso a come posso categorizzarlo in base agli schemi ed ai pregiudizi che mi sono formato nel passato, pensando poi a come poterlo manipolare per ottenerne qualcosa in futuro.
Nella relazione io-tu, invece, si coglie l'unicità e l'irripetibilità di chi ho di fronte. Chi ho di fronte non è più una persona come tutte le altre, da categorizzare e incasellare in uno schema di pregiudizi e preconcetti, ma è un soggetto unico ed irripetibile che si dischiude davanti ai miei occhi.
Il tempo di questa relazione è il presente. La mia attenzione è focalizzata su quel preciso momento senza pensare ad altro.
Il dipinto "La danza" di Matisse raffigura cinque persone che ballano tenendosi per mano. La postura indica un movimento circolare.
In basso, un uomo ed una donna si cercano dopo aver perso l'uno la mano dell'altra.
La nudità dei soggetti ritratti può rappresentare l'abbattimento di ogni barriera che li separa l'uno dall'altro, ponendosi uno accanto e di fronte agli altri in uguaglianza e trasparenza.
L'altro è accolto nella "società" del cerchio danzante a prescindere dalla sua forma fisica, dal suo carattere e dal suo pensiero.
Solo guardando l'altro in quanto tale, accogliendone le differenze, si può guardare l'altro «ad occhi aperti», ovvero senza categorizzarlo secondo i propri schemi ma accogliendolo come soggetto unico ed irripetibile.