Nato il 2 dicembre del 1891 a Gera e formatosi presso la Scuola d’ Arte Decorativa di Dresda, allo scoppio della prima guerra mondiale si dimostrò fedele alla propria ideologia di interventista arruolandosi volontario e vivendo in prima persona l’orrore del fronte occidentale. Sopravvissuto alla guerra ma non al trauma di dover assistere inerme a tanta crudeltà e morte, quasi trent’anni dopo Otto Dix non ebbe difficoltà a riconoscere il seme del male, l’aberrazione, che risiedeva nell’ideologia nazista.
Allontanato dall’insegnamento della sua Accademia, nel 1933 Otto Dix diede vita a un dipinto che voleva essere una inquietante allegoria della Germania, ormai da lui considerata una nazione snaturata che si stava avviando ciecamente e colpevolmente verso un baratro civico e morale.
Fonte: samanthacasella.comL'opera di Otto Dix è dedicata ai sette vizi capitali, ovvero la "sedimentazione" di alcuni peccati che diventano così un «habitus», un'«abitudine». È proprio questa, infatti, la differenza tra «peccato» e «vizio»: se il peccato può essere occasionale, una volta ogni tanto, il vizio è la costante reiterazione di un peccato, finché non diventa un'abitudine.
Nel dipinto dell'autore, infatti, i «vizi» vengono rappresentati come dei costumi, degli «abiti» indossati da alcuni personaggi.
Nell'opera di Otto Dix sono presenti sette personaggi, ognuno dei quali è caratterizzato da un costume, una posa ed un atteggiamento molto particolari. Individuiamo, per ciascun personaggio, il vizio corrispondente.
La gola viene rappresentata come un omino paffuto che ha la testa imprigionata all'interno di un tegame, a rappresentare che se normalmente è l'uomo a mangiare il cibo, la gola è quel peccato che inverte l'ordine: è in qualche modo il cibo a mangiare l'uomo.
Esso consiste nel ribaltamento dell'ordine tra mangiante e mangiato.
La superbia viene rappresentata da un uomo con il naso bruciato, forse per il troppo ardire nell'essersi avvicinato ad una qualche fiamma con la presunzione di non scottarsi. Indicativa è anche la mano che gli tappa l'orecchio: il superbo, infatti, raramente ascolta gli altri, poiché è concentrato solamente su sé stesso.
Esso consiste nel ribaltamento dell'ordine tra l'uomo e Dio.
L'ira è rappresentata da un personaggio bestiale: con le fauci aperte ed un coltello in mano sembra in procinto di uccidere qualcuno. L'ira è infatti quel peccato che priva l'uomo della sua razionalità e lo abbassa al livello delle bestie, che non sanno dialogare che non con la violenza (fisica o verbale che sia).
Esso consiste nel ribaltamento dell'ordine tra istinto e ragione.
L'accidia è rappresentata da uno scheletro: esso è infatti privo di muscoli, per cui rimane inerme. Eppure sembra tutt'altro che inerme! Questo perché non sempre l'accidia è sinonimo di pigrizia: a volte è semplicemente il farsi portare dalla "corrente", l'assecondare il contesto senza avere le forze di prendere una posizione consapevole. Il personaggio allegorico è infatti privo anche del cuore, per alcune culture antiche (e anche per molti di noi) sede delle emozioni e motore vitale che dà vita a tutto il corpo.
Esso consiste nel ribaltamento dell'ordine tra volontà e circostanze.
La lussuria è rappresentata da una donna che tiene in mano il proprio stesso corpo: questo è infatti il peccato dell'oggettificazione del proprio corpo, che non è più trattato come un corpo «umano», ma è ridotto ad un insieme di organi da utilizzare a proprio uso e consumo, dimenticandosi che l'uomo è spirito incarnato, e che dunque la sua carne è sempre una carne spirituale.
Esso consiste nel ribaltamento dell'ordine tra carne e spirito.
L'avarizia è rappresentata da una signora china verso il basso, che tasta il terreno alla ricerca di qualche oggetto da accaparrarsi. Questo peccato è anche quello della trascuratezza di sé. L'avaro, infatti, ribalta l'ordine delle cose: non è più lui a possedere i suoi averi, ma sono i suoi averi a possederlo.
Esso consiste nel ribaltamento dell'ordine tra possedimento e possessore.
L'invidia, infine, è rappresentata da un uomo mascherato. L'invidioso è infatti colui che vorrebbe essere diverso; che vorrebbe far propria l'identità o le caratteristiche di un altro.
Esso consiste nel ribaltamento dell'ordine tra l'«io» ed il «tu».
In questo caso, l'autore ha scelto di far indossare all'allegoria dell'invidia la maschera di Adolf Hitler, futuro dittatore della Germania nazista. Tuttavia, questa è solo la forma ultima dell'opera: inizialmente, infatti, la maschera non aveva i tipici baffi di hitleriani, aggiunti solo nel 1945, quando una simile rappresentazione fu possibile senza che il costo ne fosse la pelle.
Riconoscere il messaggio cristiano nell’arte e nella cultura in Europa nell’epoca contemporanea.
L’alunno riconosce i linguaggi espressivi della fede nell'arte figurativa, ne individua le tracce presenti in ambito europeo imparando ad apprezzarli dal punto di vista artistico, culturale e spirituale.
Fonte: Indicazioni Nazionali487