Come abbiamo visto nella lezione sulla differenza tra l'uomo e gli altri animali, l'uomo detiene una dignità peculiare che lo distingue dagli altri animali. Questa dignità è simboleggiata dal vestiario: un simbolo che identifica e consente a ciascuno di esprimere il proprio modo di essere.
La prima comparsa del vestiario, negli uomini primitivi, viene oggi fatta risalire dagli studiosi a circa 18 mila anni fa.
Sebbene nei reperti scoperti sino ad oggi non siano stati trovati resti di elementi che possano dimostrare con certezza l'utilizzo di capi di abbigliamento da parte degli uomini paleolitici, il ritrovamento di rudimentali strumenti in pietra probabilmente destinati alla lavorazione della pelle per trasformarla in indumenti ha portato gli studiosi a far risalire a 18 mila anni fa la comparsa dei primi capi di abbigliamento.
Uno dei fattori che certamente ha portato l'uomo a cercare di coprirsi è la necessità di proteggersi dalle intemperie e dagli altri predatori. L'uomo, infatti, è quasi privo di pelliccia, e per questo ha bisogno di ingegnarsi per supplire a questa sua mancanza.
Un altro fattore che ha decisamente influito sulla comparsa del vestiario primitivo è la sua capacità simbolica: indossare la pelle di un altro animale poteva significare la propria identificazione con esso e con le sue caratteristiche principali. Ad esempio, indossare la pelle di un orso poteva simboleggiare la propria forza.
Il desiderio di coprire il proprio corpo con decorazioni simboliche prende il nome di senso del pudore. Fin dalle origini dell'umanità, infatti, l'uomo ha sentito la necessità di rappresentare materialmente, attraverso i propri indumenti, la dignità che lo elevava al di sopra degli altri animali.
Nell'arte, questo «velo» di dignità che avvolge l'essere umano è stato più volte rappresentato in opere frutto della grande maestria degli scultori. Un esempio è la scultura della Donna velata di Antonio Corradini, risalente al 1752 e conservata nella Cappella Sansevero di Napoli.
Il velo che avvolge la donna simboleggia il pudore. Esso è da sempre stato oggetto di approfonditi studi antropologici, sociologici e morali, tanto che molti autori hanno tentato di darne una definizione. Tra questi si trova certamente J. Guitton, che parlando del pudore lo definisce come:
Il pudore, così come è inteso oggi, ha due funzioni:
Difendere l'uomo dall'essere ridotto alla propria mera corporeità
Esso si manifesta, ad esempio, come rifiuto della curiosità morbosa o degli sguardi indiscreti
Affermare la propria dignità e il proprio valore di essere umano
Esso si manifesta, ad esempio, come accurata scelta del proprio abbigliamento per renderlo efficace espressione della propria interiorità.
Proprio riguardo ciò, Karol Wojtyla, che poi divenne Papa Giovanni Paolo II, definì il pudore come:
Con questa definizione, l'autore vuole sottolineare che nessuno può essere ridotto ad oggetto di godimento, poiché ciò lederebbe la sua dignità personale.
Il Midrash ha-Gadol, testo rabbinico del 14° secolo che tenta di interpretare la Torah, spiega l’episodio del peccato originale narrato nel Libro della Genesi al capitolo 3 ricorrendo all’immagine di una «nuvola di gloria» che si solleva dal corpo di Adamo ed Eva e di una «pelle d’avorio» che si stacca dai loro corpi subito dopo aver mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male. Così, a causa del peccato, l’uomo perde quell’abito di gloria di cui era stato naturalmente dotato fin dall’attimo della creazione.
«E si fecero dei grembiuli – ma di cosa era fatto il vestito del primo uomo? Indossava pelle d’avorio e una nuvola di gloria lo copriva. Tuttavia, quando ebbero mangiato dall’albero, la nuvola di gloria si sollevò, la pelle d’avorio fu staccata e si videro nudi e scoperti; subito cucirono insieme delle foglie di fico»
Simbolo: Qualsiasi elemento atto a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto materiale e sensibile, ma capace di evocare un'idea astratta attraverso qualcuno degli aspetti che caratterizzano l’elemento stesso. Nell’uso degli antichi Greci, il «σύμβολον - symbolon» era un mezzo di riconoscimento costituito due parti di uno stesso oggetto, ottenute spezzandolo irregolarmente (per esempio: un pezzo di legno), che i discendenti di famiglie diverse conservavano come segno di reciproca amicizia.
Confrontare la prospettiva della fede cristiana e i risultati della scienza come letture distinte ma non conflittuali dell’uomo e del mondo e saper esporre le principali motivazioni che sostengono le scelte etiche dei cattolici in un contesto di pluralismo culturale e religioso.
Lo studente inizia a confrontarsi con la complessità dell’esistenza e impara a dare valore ai propri comportamenti per relazionarsi in maniera armoniosa con se stesso.
Fonte: Indicazioni NazionaliCatechismo della Chiesa cattolica, §2514-2533 🌐
CAMPANINI, G., «Pudore» in Dizionario Enciclopedico di Teologia Morale, 863-870
GALBIATI, E., «L'adolescente nella Bibbia» in Enciclopedia della adolescenza, Queriniana, Brescia 1965, 165-172
KRAUS, P. – GAGERN, F., Guardarsi a occhi aperti, Edizioni Paoline, Francavilla 1971
ARANGO, J.J., Semantica del desnudo cristiano
Articoli online
🌐 Educare al pudore (I): gli anni della fanciullezza (OpusDei)
🌐 Educare al pudore (II): l’infanzia e l’adolescenza (OpusDei)
🌐 L'arte di educare: salviamo il pudore (Don Bosco Borgo Manero)
🌐 Il pudore (Note di pastorale giovanile)
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