1976 - Henrik Stangerup pubblica L'uomo che voleva essere colpevole, romanzo distopico in cui Torben, protagonista e marito di Edith, vive una vita apparentemente tranquilla, ma in realtà caratterizzata da noia e frustrazione, tanto da portarlo all'alcolismo.
Una sera, in preda ad un attacco d'ira e fomentato dai fumi dell'alcol, uccide la moglie in seguito ad un'accesa discussione.
Contrariamente a quello che (per ora) potremmo essere portati a pensare, Torben non subirà nessun processo, anzi, verrà sottoposto alle "cure" di alcuni psichiatri che cercheranno di fargli credere di non essere responsabile della morte di sua moglie.
«Sono colpevole di omicidio!»
«Perché dici queste stupidaggini?»
«Ma è la verità!»
«Non esiste più la parola colpevole, lo sai benissimo anche tu». Aveva un tono censorio, pedante e professionale come un'insegnante di vecchio stampo: «Sono sempre le circostanze che determinano le nostre azioni!»
Leggiamo un paragrafo dell'articolo di Alessandro d'Avenia per il sito Corriere.it:
Il romanzo immagina una società «perfetta», in cui il bene e il male sono stati superati: l’omicidio è un incidente e il male un mancato adattamento sociale che si cura con la psicologia e i tranquillanti. Non esistono azioni malvagie ma comportamenti non ancora «adattati». Eppure il protagonista, benché giuridicamente sollevato dalla colpa, non è felice: non gli basta che un giudice o uno psicologo lo dicano innocente per sentirsi tale, perché non può eliminare quella voce interiore, detta coscienza, che distingue il bene e il male. Dal male si esce solo prendendone le distanze nei fatti, non auto-assolvendosi o fingendo che non esista.
L'autore dell'articolo evidenzia l'insufficienza di quel "palliativo" per la coscienza che nel romanzo è l'intervento da parte degli psicologi che cercano di convincere il loro paziente della sua innocenza, anche se ciò richiede di andare contro la realtà dei fatti.
Quello descritto dall'autore di questo articolo è un «uomo demoralizzato», ovvero un uomo che non è più capacere di distinguere tra bene e male. «De-moralizzato» significa, infatti, privato della morale.
Ti è mai capitato, nella tua vita, di assistere ad un evento simile a quello che abbiamo visto nel romanzo L'uomo che voleva essere colpevole? Se sì, quando?
Pensi sia facile trovare una giustificazione che possa «mettere la coscienza a posto» dopo un'azione sbagliata?
Pensi sia facile ammettere di aver sbagliato?
Ti è mai capitato di fare qualcosa di cattivo, ma con una buona intenzione?
Secondo te il fine può giustificare i mezzi?
Credi che le circostanze di un'azione possano determinarne il bene o il male?
Saper esporre le principali motivazioni che sostengono le scelte etiche dei cattolici.
Lo studente inizia a confrontarsi con la complessità dell’esistenza e impara a dare valore ai propri comportamenti, per relazionarsi in maniera armoniosa con se stesso e con gli altri.
Fonte: Indicazioni Nazionali316-317
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